Come noi ci vediamo e come ci vedono gli altri (1)

Leggendo L’idiota, capolavoro della maturità di Dostoevskij

lo forte
Salvatore Lo Forte: “Ritratto di giovane gentiluomo”. Olio su tela. Palermo, GAM https://instagram.com/p/67GVffJtwe/

Prima parte

L’uomo “assolutamente buono

Era un giovane sui ventisei o ventisette anni
con folti capelli biondi, guance infossate
e una leggera barbetta a punta,
così chiara,da parer bianca.
Aveva grandi occhi azzurri e fissi,
dallo sguardo dolce,
 pieno di quell'espressione strana,
che basta ad alcuni per individuare
a prima vista un malato di epilessia»

Un treno si avvicina sbuffando a Pietroburgo in una giornata di disgelo di Novembre. Il tempo è umido e nebbioso. I viaggiatori di terza classe, dopo la nottata in treno, hanno le palpebre gonfie e i loro visi sono giallognoli, “del medesimo pallore della nebbia...”

C’è tutto questo nella prima pagina de L’idiota di Fedor Dostoevskij e già traspare la precarietà del vivere: c’è  l’aria scura di Pietroburgo, i volti assenti dei viaggiatori, c’è tutto il senso dello smarrimento. In questo lo scrittore rispecchia uno degli atteggiamenti tipici dell’esistenzialismo e cioè l’accentuazione del carattere precario e manchevole dell’esistenza.

Un paesaggio desolato e una affollata vettura di terza classe sottolineano, forse anche con compiacenza, l’intima miseria dell’uomo. E lo smarrimento c’è dovunque nei romanzi di Dostoevskij, nella ferrovia a Novembre, nelle facce esauste dei viaggianti e nel volto “privo di colori” del principe Myskin che giunge a Pietroburgo dopo un lungo soggiorno in Svizzera dove è stato ricoverato in una clinica per epilettici.

Il principe Myskin, smarrito nella bolgia sociale di Pietroburgo, è un puro di cuore, timido e bonario e non conosce inganni e doppiezze tanto che dice sempre la verità anche a costo di apparire ridicolo. Il principe Myskin, personaggio centrale de L’idiota, è descritto da Dostoevskij come “assolutamente buono” e in perenne contrasto con l’indifferenza e la crudeltà degli uomini.

Il principe Myskin non si pone mai di fronte a nessuno in un atteggiamento preconcetto, è interiormente libero e disponibile, la sua intelligenza non è mai offuscata dai pregiudizi: «Gli uomini si giudicano così, ad occhio e croce, e non riescono a conoscersi».

Come osserva René Kaës (1991, p.14) una porzione del nostro Sé è costantemente «fuori di Sé» e quel qualcosa che è  «fuori di Sé» ci espone alla follia e allo spossamento, insomma all’alienazione.

Uno dei personaggi de L’idiota così esclama al cospetto del principe Myskin (1986, p.388): «Ecco il vero modo di far perdere la bussola a un uomo! Per amor di Dio, principe, ora dimostrate una semplicità e un’ingenuità come non se ne sono mai viste (…) poi ad un tratto, trafiggete l’uomo come con una freccia, con la profondità delle vostre osservazioni psicologiche».

Idiota o intelligente? Sprovveduto o sapiente? Cos’è davvero il principe Myskin?

«Addio, principe, ho visto per la prima volta un uomo!», così Nastasja Filippovna – l’eroina della storia – saluta Myskin alla fine della prima parte del romanzo. Di converso qualcun altro lo reputa un “misero principe”, nient’altro che un “idiota malato”, insomma un “imbecille, che non conosceva il mondo e non vi trovava il suo posto”.

Dostoevskij, nella letteratura contemporanea, è forse l’artista che più acutamente ha intuito questo carattere infinitamente problematico dell’uomo…” (Remo Cantoni, 1948, p.32 )

I suoi romanzi sono straordinariamente interessanti non già perché i personaggi espongano idee o concetti speculativamente originali e neppure perché le trame siano intrinsecamente simboliche: Dostoevskij è straordinario proprio per la sua capacità di problematizzazione. “Si danno casi nella vita in cui si possono bruciare i ponti, in cui si può anche non tornare a casa: la vita non è fatta solo di pranzi, colazioni …” .

In Dostoevskij anche lo stile espositivo risulta essere il prodotto di una costante problematizzazione. La narrazione è a tratti interrotta dalla inserzione di note e appunti sui personaggi tanto che il lettore vi si smarrisce. Dostoevskij si serve di tali interpolazioni per scavare i tratti psicologici fondamentali dei personaggi, per gettar luce sul loro universo e sul loro modo di pensare. E’ come se nel romanzo fossero inseriti altri manoscritti che interrompono l’azione e rallentano il corso del racconto per dischiudere nuove e lontane prospettive.

Leggere L’Idiota di Dostoevskij vuol dire correre il rischio di smarrirvisi: vi si cerca disperatamente una strada in mezzo alla foresta per ritrovarsi, dopo vani affanni, in una “terra di nessuno” dove ogni antica sicurezza perde consistenza.

Bibliografia

Dostoevskij, M.F. (1868), L’idiota. Milano: Garzanti, 1986.

Kaes, R. (1991), Realtà psichica e sofferenza nelle istituzioni. In AA.VV., L’istituzione e le istituzioni. Roma: Borla, 1991.