Psicoterapia e scrittura: alla ricerca dell’oggetto perduto

Psicoterapia e scrittura sono due modi di gestire il disagio. Differenze e similitudini. *

C’è un piacere intrinseco nel semplice gesto dello scrivere!

E’ una piacevolezza già ravvisabile nella mera spazialità del gesto “il cui compimento rende felici, come nella vita fisica, il moto, il sudore, il bagno” (Proust, 1963, p.240).

Impregnare d’inchiostro un foglio bianco e vederlo animarsi al ritmo della mano che scrive ha indubbiamente un certo fascino. E’ un gesto che evoca, forse, la straordinaria possibilità che l’uomo ha di ricominciare, di voltare pagina e di foggiare in modo sempre nuovo il proprio destino.

Aleksej Ivanovic, Il giocatore di Dostoevskij (1992, p.136), ritrova sollievo quando, la sera, scrive delle trascorse impressioni. Aleksej scrive in completa solitudine e intorno è l’autunno, “le foglie ingialliscono sugli alberi ”, c’è tutta la malinconia delle città tedesche: “Mi è venuta di nuovo voglia di prendere la penna in mano e poi tante volte la sera non ho nulla da fare (…) E così mi metto a scrivere. Del resto tutto oggi lo posso raccontare solo in forma parziale e abbreviata: le impressioni non sono più vivide come allora…”.

Alle radici del desiderio di scrivere è spesso riscontrabile uno stato di insoddisfazione, la consapevolezza di una quotidianità spesso deludente e assai lontana dalle perfezioni sognate.

Un notevole spunto di riflessione in tal senso è costituito da una elaborazione di Freud (1907) secondo cui la scrittura creativa sarebbe il prodotto della frustrazione del desiderio che troverebbe così nella scrittura una peculiare risoluzione.

La scrittura, continua Ferrari (1994, p.8) si configurerebbe così come psichicità rappresa, cioè come il prosieguo esterno e tangibile dell’attività psichica. Questa constatazione getta un ponte tra le dinamiche sottese alla scrittura e alla psicoanalisi: la scrittura, infatti, si impernia attorno al bisogno dell’uomo di tradurre la complessa realtà interiore nei suoi “correlati oggettivi” (Eliot, 1971) così da mediare tra esigenze psichiche ed esigenze estetiche.

S. De Risio e G. Martini (1987, p.174) concordano con Freud (1907) nel sostenere che la creatività non potrebbe affatto scaturire da una condizione di pienezza che annulla il desiderio: sono – infatti – la mancanza e la frustrazione, nonché la “ricerca dell’oggetto perduto” (Freud, 1907) ad alimentare i processi creativi.

Perché mai, si interroga Ferrari (1994, p.110), l’atteggiamento degli scrittori nei confronti della psicoanalisi è gravido di curiosità e sospetto? La nevrosi e la creatività non saranno, forse, modi differenti di rispondere al medesimo disagio?

In alcuni casi le resistenze degli artisti nei confronti della psicoanalisi testimoniano un possibile, ma non scontato, intreccio tra creatività e malattia, quest’ultimo implicito nelle teorizzazioni sull’ arte come riparazione. Non si tratta affatto di omologare la creatività alla malattia o viceversa, bensì di riconoscerne una radice comune.

Le dinamiche sottese alla scrittura e alla psicoanalisi sono, infatti, profondamente diverse in quanto l’artista, attraverso la scrittura, propende alla enfatizzazione e alla conseguente legittimazione del sintomo nevrotico come condizione umana. Secondo Lejeune (1971, p.99) “lo scopo dello scrittore non sembra tanto quello di risolvere i conflitti quanto quello di fissarli, dando loro coerenza e bellezza”.

Ad uno sguardo più attento, tuttavia, anche in questo caso è constatabile una analogia di fondo: l’efficacia della terapia psicoanalitica si risolve, infatti, nella “riscrittura” del conflitto dimodoché la risoluzione di questo non è altro che la sua traslazione all’interno di una qualsivoglia teoria psicoanalitica.

Per quanto concerne la delicata questione del transfert, Enzo Morpurgo (1987, p.100) osserva come nella scrittura si alimenti progressivamente una dinamica di coppia tra l’io che scrive, assimilabile all’analizzando, e l’io che legge, in qualche modo affine all’analista.

Le similitudini tra “coppia analitica” e “coppia di scrittura” si arrestano, in primo luogo, laddove la prima consta di due persone mentre la seconda di una persona duplicata. Ecco che, se la “coppia di scrittura” propende alla moltiplicazione del senso possibile, nella “coppia analitica” l’analista si prospetta come “principio della differenza” che ripristina l’unità a discapito della frammentazione (Morpurgo, 1987, p.107).

 

*Integrazione all’articolo inserito in Biografia: Ho ceduto alla tentazione  Psicologia e letteratura al tempo di internet: un passaggio autobiografico

 

Bibliografia

Dostoevskij, M.F. (1866), Il giocatore. Milano: Garzanti, 1992.

Ferrari, S. (1994), Scrittura come riparazione. Verona: Laterza.

Freud S. Per gli scritti freudiani si fa riferimento all’edizione Boringhieri delle Opere in 12 volumi.

Il poeta e la fantasia, 1907, vol.5.

Dostoevskij e il parricidio, 1927, vol.10.

Morpurgo, E. (1987), Il segreto della camera chiusa ovvero il paradosso della scrittura. In Morpurgo, E., Egidi, V. (a cura di ), Psicoanalisi e narrazione. Ancona: Il lavoro editoriale, 1987.

Rella, F. (1981), Il silenzio e le parole. Milano: Feltrinelli, 1981.

Rovatti, P.A. (1992), L’esercizio del silenzio. Milano: Cortina, 1992.

Spence, D. P. (1982), Verità narrativa e verità storica. Firenze: Psycho, 1987.