Il gioco e l’azzardo: una distinzione fondamentale

La capacità di giocare è segno di equilibrio e salute psichica, da non confondere con la compulsione dell’azzardo*

 Cézanne: I giocatori di carte. Orsay, Parigi

Le pagine de Il giocatore di Fedor Dostoevskij descrivono straordinariamente la fisionomia degli autentici e accaniti giocatori, “quelli per i quali nelle stazioni termali esiste soltanto la roulette e soltanto per quella ci sono venuti; gente che quasi non si accorge di quel che succede intorno a loro e per tutta la stagione non s’interessano a nient’altro”.

Anna Oliverio Ferraris, in un articolo apparso sulla rivista Psicologia contemporanea, osserva che essere dominati dalla febbre del gioco è, di certo, tutt’altra cosa che giocare di tanto in tanto ai dadi o alla roulette.

Il giocatore che non riesce a non giocare, che non sa staccarsi dal tavolo verde, è vittima di un’ossessione, è dominato dall’ansia. Per il giocatore incallito, secondo la Oliverio Ferraris (1992), il gioco d’azzardo è nel contempo un modo per realizzarsi e per dannarsi. Giocare, quindi, procura benessere al giocatore, lo fa sentire vivo, partecipe e immerso in un ritmo che lo trascina. Ma giocare lo fa anche star male perché lo attanagliano la paura e l’angoscia.

Il termine “gioco” è qui usato impropriamente per indicare il “gioco d’azzardo”: è quindi necessario un accenno al concetto di gioco del resto così esplorato.

Milner (1952) identifica il gioco con il momento in cui il poeta originario – che è in ciascuno di noi – “creò il mondo esterno per noi, scoprendo la familiarità nel non familiare”. Il giocare concerne quindi alla creatività, “non è di fatto una questione di realtà interna, e neppure una questione di realtà esterna” (Donald Winnicott) ma è assimilabile ad una condizione di sospensione, nell’area intermedia compresa tra ciò che è soggettivo e ciò che è oggettivamente percepito. “… Mentre gioca, e forse soltanto mentre gioca, il bambino o l’adulto è libero di essere creativo” (D. Winnicott).

Diego Napoletani considera la creatività una “variabile” specificamente umana… Infatti, se da un canto l’essere umano può ritenersi “assoggettato” al proprio gruppo di appartenenza e imbrigliato in una rete che lo contiene e una matrice che lo istituisce, dall’altro un’attitudine espressiva è la predisposizione ad una conoscenza trasformativa del mondo agiscono nel senso di una liberazione dal fondamento culturale.

La capacità di giocare è indice di una equilibrata vita psichica: già Freud riteneva guariti i suoi pazienti quando questi sarebbero stati in grado di amare, lavorare e giocare: l’attitudine al gioco è sintomatica della capacità di un individuo di liberarsi dai lacci della cultura istituita (nonché dalla logica del dover fare e del dover essere) e di “sfondare” –con la forza della creatività- la ripetitività della storia familiare.

Anche secondo Donald Winnicott la psicoterapia consiste in una sovrapposizione delle “aree di gioco” del paziente e del terapeuta e, laddove il gioco non fosse possibile, il lavoro terapeutico tende a portare il paziente “da uno stato in cui non è capace di giocare a uno stato in cui ne è capace”.

Il gioco d’azzardo, invece, non è affatto scelta o possibilità ma è anzi condanna. Esso può diventare la ragione di vita di una persona, il solo spazio in cui poter vivere, il disperato tentativo di fronteggiare le proprie angosce con una attività che non consente di pensare ad altro.

So unicamente che bisogna che io vinca , che questa è per me l’unica via d’uscita”: ecco cosa Dostoevskij fa dire ad Aleksej, il personaggio protagonista de Il giocatore. Persino Polina Aleksandrovna, la donna amata da Aleksej e anch’essa giocatrice, considera amaramente: “Non mi resta altra possibilità di scelta”.

Nel primo capitolo de Il giocatore Aleksej Ivanovic riceve addirittura l’ordine di Polina di vincere alla roulette e si dirige verso il casinò chiedendosi perché mai fosse così necessario e urgente vincere al gioco; purtuttavia il flusso dei suoi pensieri sfocia nella rassegnazione e nella accettazione incondizionata dell’ordine ricevuto: “ L’ordine di andare a giocare alla roulette mi aveva lasciato stordito come se avessi ricevuto una mazzata in testa (…) Ma ora come ora non c’è tempo: bisognava andare a giocare alla roulette”.

Il gioco è per Aleksej fuga in avanti, abbandono alla vertigine ma è anche la causa di un vissuto compulsivo: l’ansia che scaturisce dal gioco stesso, cioè si gioca per soffocare l’angoscia ma dal gioco nasce una nuova tensione.

In un passo de Il giocatore Dostoevskij coglie, in modo ineccepibile, la dinamica del vissuto compulsivo sottostante al gioco d’azzardo (1992, p.160): “ Può darsi che l’animo, dopo aver provato tante sensazioni, non solo non se ne sazi, ma la contrario ne ricavi un’eccitazione che lo spinga ad esigerne sempre di nuove e di più forti, fino a restarne definitivamente spossato”.

Nello scritto su Dostoevskij, Freud (1927) rivolge la sua attenzione all’attività frenetica delle mani nel gioco della roulette, interpretando questa come sostitutiva del “vizio” della masturbazione.

La febbre del gioco si configurerebbe così come equivalente rispetto alla coazione dell’onanismo: l’irresistibilità della tentazione, il piacere frastornante con conseguente senso di colpa, il costante proposito mai rispettato di non farlo più, sono rimasti immutati nel gioco “sostitutivo”.

Leggendo Il giocatore anche al lettore, come ad Aleksej, basta arrivare in vicinanza delle sale da gioco, “tanto da sentirne il tintinnio delle monete, per essere quasi preso dalle convulsioni

*Integrazione Clinica all’articolo inserito in “Letture”: Dostoevskij e il demone del gioco  Il gioco d’azzardo raccontato da un genio della letteratura

Bibliografia

Dostoevskij, M.F. (1866), Il giocatore. Milano: Garzanti, 1992.

Freud S. Per gli scritti freudiani si fa riferimento all’edizione Boringhieri delle Opere in 12 volumi.

Il poeta e la fantasia, 1907, vol.5.

Dostoevskij e il parricidio, 1927, vol.10.

Jervis, G. (1993), Fondamenti di psicologia dinamica, Milano: Feltrinelli, 1993.

Oliverio Ferrarsi A., “Paura ed altri affanni”, in Psicologia contemporanea n°110, Giunti, Firenze 1992.

Winnicott D.W., Gioco e realtà, tr.it. Armando, Roma 1990.