Lo sdoppiamento della coscienza nella narrativa di Dostoevskij
“Del resto c’era realmente motivo per un simile turbamento. Il fatto era che quello sconosciuto gli era sembrato in un certo senso conosciuto”
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“Ammettere che sono io o no? O far finta di non essere io, di essere qualcun altro che mi assomiglia in modo strabiliante, e fare come se niente fosse? Appunto, non sono io, non sono io e basta!”.
Ne Il sosia di Fedor Dostoevskij il sentimento di smarrimento del sé è progressivo e inevitabile: questo emerge costantemente dal monologo interiore del Signor Goljàdkin, dallo sprofondamento imponderabile nel disordine dei pensieri e delle pulsioni, dalla solitudine allucinata di una esistenza senza più alcun appiglio.
Ne Il sosia è radicale la disarmonia tra la psiche sempre più frustrata di Goljàdkin e il mondo esterno, indifferente o apertamente ostile. Il romanzo si impernia attorno al delirio di sdoppiamento del signor Goljàdkin che incontra il suo sosia in una notte di tempesta a Pietroburgo. Il sosia non è altro che il prodotto deforme della coscienza di Goljàdkin, sintesi di arrivismo, volgarità e smania di affermazione che si scontra con l’”io” goffo e impacciato del protagonista il quale, in un crescendo di angoscia, andrà incontro allo smarrimento di sé.
Lo smarrimento di sé del signor Goljàdkin ha inizio già durante il primo incontro con il sosia che, pur comparendo nella scena del romanzo come un passante qualunque, fomenta fin da subito il turbamento del protagonista che “prese a tremare in tutto il corpo, le gambe non lo ressero più, gli si piegarono le ginocchia, ed egli si lasciò cadere con un gemito su un pilastrino del marciapiede”.
Dapprima quindi l’io del signor Goljadkin incontra l’Altro, l’estraneo ma ben presto lo Straniero si rivelerà un Alter-ego. Cioè l’io incontra se stesso nelle sembianze di uno straniero, come in uno sdoppiamento: “Del resto c’era realmente motivo per un simile turbamento. Il fatto era che quello sconosciuto gli era sembrato in un certo senso conosciuto” (Dostoevskij, 1991, p.53).
Per Jabès (1991) piuttosto che di uno sdoppiamento si tratta di una metamorfosi che mette a repentaglio la propria soggettività, si tratta cioè di “diventare stranieri”, di approssimarci allo Straniero che siamo piuttosto che approssimare a sé lo Straniero. Dunque il sosia che Goljàdkin incontra non è altri che lui stesso. E, infine, il sosia non è rassicurante estraneità al di fuori di Goljàdkin bensì è dentro di lui, lo abita.
Quella che si prospetta come una scena fenomenologia dell’intersoggettività, quando la riconosciamo ci appare deformata, sottoposta ad una torsione. “E’ lo straniero, l’estraneo, che ci dice: avvicinati di più”: Rovatti (1992, p.97) sintetizza così il pensiero di Jabès e aggiunge che il “diventare stranieri” implica una esperienza di noi stessi che muova dall’ombra che sostanzialmente siamo piuttosto che dalla luce che presumiamo di essere. Insomma si tratterebbe di “avviare un movimento oppositivo in noi stessi”.
L’inquietudine del signor Goljàdkin, durante l’incontro col suo sosia, è crescente di pagina in pagina: “Goljàdkin (…) per nessun tesoro al mondo avrebbe voluto incontrarsi con lui e tanto meno poi in quel momento”.
Da quell’incontro sarà inevitabile la rottura dell’equilibrio psichico di Goljàdkin e con esso la frantumazione dell’ “io-coscienza” per usare una definizione di Scharfetter (1992, p.86): “L’io-coscienza è la certezza della persona vigile e lucida:‹‹Io sono io stesso››”. (Vedi Integrazione Clinica Gli “scherzi” della coscienza )
Nelle ultime pagine ritroviamo il signor Goljàdkin più che mai sperduto, come “un gattino innaffiato d’acqua gelata”, precipitato ormai definitivamente nella follia, col sangue che gli pulsa in testa e con un sordo singhiozzo nel petto: “Dio mio! Dio mio! Dammi fermezza d’animo, nell’infinità profondità delle mie disgrazie! Che io sia perduto, completamente annientato, non c’è alcun dubbio e tutto questo è nell’ordine delle cose, poiché non potrebbero essere in altro modo”.
Bibliografia
Dostoevskij, M.F. (1846), Il sosia. Milano: Garzanti, 1991.
Scharfetter, C. (1992), Psicopatologia generale (un’introduzione). Milano: Feltrinelli, 1992.
Immagine in evidenza di Alessandro Coppola: illustrazione tratta da “Battito d’ali”, ed. L’orto della cultura 2015 www.alessandrocoppola.com