Tracce di Psicologia Dinamica nei romanzi di Fedor Dostoevskij*
Prima parte
«Il naufragar m’è dolce»
Ero adolescente e classicamente perplesso sulla vita quando lessi per la prima volta Delitto e castigo. Sin dalle prime pagine compresi di aver trovato qualcosa di quello che stavo cercando.
«Capite, capite voi, quel che significa non saper più dove andare? Giacché bisogna pur che ogni uomo possa andar da qualche parte…!» (Dostoevskij, tr. it.1963, p.42). Come Raskòlnikov anch’io in quel tempo restavo per ore a interrogarmi e a contemplare il mio naufragio! Grazie a Dostoevskij ho amato più che mai questo mio naufragio, il tumulto costante delle idee, il disordine interiore da cui poter rinascere ogni giorno!
«C’è una certa gioia anche all’ultimo gradino dell’umiliazione e dell’annullamento». Così Fedor Dostoevskij fa dire ad Aleksej Ivanovic, personaggio centrale de Il giocatore. Già, quando l’organizzazione dell’io scricchiola sino a realizzarne la totale destrutturazione l’individuo viene sospinto verso una sorta di comunione con la realtà esterna nonché con gli ambiti primitivi della psiche.
Si tratta di una condizione dove identità e alterità si confondono, dove gli affanni si disperdono, dove la presunzione egoica perde ogni senso. Il soggetto soffre per l’identità perduta ma, nel contempo, constata piacevolmente l’abbandonica con-fusione con l’universo; il paesaggio circostante non costituisce più l’«altro da sé» ma diviene parte degli orizzonti interni o, di converso, è l’io che naufraga tumultuosamente dentro il paesaggio sino a smarrirvisi.
«Non soltanto il signor Goljàdkin desiderava ora sfuggire a se stesso, ma addirittura annientarsi, non essere, trasformarsi in polvere» (Dostoevskij, tr. it. 1991, p. 48). Da questo breve brano de Il sosia emerge il senso di una comunione con il tutto, quando «il confine tra l’io e l’oggetto minaccia di dissolversi» (Freud, 1929). Così Freud illustra il cosiddetto senso oceanico che egli riconduce allo stadio di narcisismo primario, laddove il corpo del bambino si con-fonde con quello materno alimentando un sentimento di identificazione con l’ambiente circostante.
A tal proposito nella concettualizzazione Junghiana è riscontrabile una critica radicale dell’ideologia moderna la quale condanna il sentimento di perdita di sé ed esalta il potenziamento progressivo dell’io. Jung auspica quindi un’esperienza di sé che restituisca spazio alla zona d’ombra a discapito delle spinte propulsive dell’io (Rovatti, 1992, pp.47-49). Ne Il sosia il signor Goljàdkin si inquieta profondamente perché incontra in realtà il prodotto deforme della sua coscienza, l’«amico notturno», insomma l’ombra di sé. L’Ombra non può essere ridotta ad un concetto, come l’«uomo senz’ombra» tenderebbe a fare, ma la si esperisce nella sofferenza… Ecco perché i poeti e gli scrittori sembrano «saper maneggiare» l’Ombra meglio dei filosofi (Rovatti, 1992, pp. 55-56).
Il tempo espanso della sospensione emerge costantemente nei romanzi di Fedor Dostoevskij. Esso si contrappone al tempo della coscienza vigile e difensiva: la meditazione e il raccoglimento in se stesso implicano, infatti, uno scarto dalla coscienza.
Il sentimento di spaesamento e de-realizzazione, tuttavia, non coincide con una vera e propria perdita di sé, ma è piuttosto un guadagno. L’annullamento, dunque, non è soltanto de-realizzazione bensì anche liberazione dagli intoppi coscienziali che restringono i confini della percezione. Si tratterebbe di allentare la pressione dell’io, di assecondare il soggetto nel suo indebolimento così da riconquistare il tempo speciale dell’ascolto, il tempo del silenzio (Fachinelli, 1989, pp.24-25).
L’abitudine mantiene l’io dentro confini troppo prevedibili. «Andare oltre l’abitudine» (Rella, 1981, p.84) presuppone quindi l’attraversamento di ciò che è spaventoso all’interno di uno spazio contraddistinto dallo scorrere inesorabile delle cose. «E di noi stessi cose» (ibid.).
*vedi approfondimento: I classici della letteratura sono lezioni di Psicologia Dinamica I grandi scrittori hanno intuito le elaborazioni di Freud