Destino o libertà? Ecco la soluzione per Cesare Pavese

    A proposito del determinismo psichico, concetto caro alla psicoanalisi
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Vienna: Kettenkarussell (Prater)

Il compagno di Cesare Pavese si impernia intorno alle lotte quotidiane che accompagnano l’uomo nel suo difficile cammino verso la libertà. “Chi avevo visto, conosciuto finora? In che posti ero stato? Certi giorni a pensare a quanta gente c’è a questo mondo (…) mi veniva una voglia di andarmene a spasso, di saltare sopra un treno, che quasi gridavo”.

Pablo è il protagonista-narratore, chitarrista nelle osterie della periferia torinese; questi si innamora di Linda, l’ex ragazza dell’amico Amelio (“Linda l’avevo nella pelle come il sangue”) ma è assai caro il prezzo da pagare per il tradimento amicale: Linda è una donna cinica e ambiziosa che guarda al suo interesse immediato e sospinge Pablo alla degradazione morale e alla fuga da Torino.

La seconda parte della storia si svolge a Roma, qui il momento della notte diventa mitico ed essenziale. Roma di notte è incantevole: l’aria chiara e asciutta, le piante fiorite, le viuzze piene di stelle. “Sotto le piante, in quel fresco di luna, non potevo tenermi. L’aria di Roma è proprio fatta per stare svegli”.

Il tema della notte, in Pavese, si intreccia costantemente al tema della festa: “Qui a Roma – dice Pablo – è festa anche i giorni feriali”. Ed è sempre il mito della festa a segnare l’apertura di altre opere di Pavese: “A quei tempi era sempre festa” è l’esordio de La bella estate, assai simile a quello de Il diavolo sulle colline, “Eravamo molto giovani. Credo che in quell’anno non dormissi mai”.

Ma il vero tema conduttore ne Il compagno è l’intreccio tra destino e libertà seppure Pavese, da grande narratore qual è, lo tratta attraverso le storie dei personaggi parlandone espressamente soltanto in brevi passaggi del romanzo.

Siamo consciamente confusi e inconsciamente controllati: ecco come Freud riassunse la nozione di determinismo psichico, introducendo la psicoanalisi. Già, ci muoviamo nella vita di ogni giorno come se avessimo libertà di scelta e in realtà siamo molto più limitati di quanto crediamo perché non facciamo altro che mettere in atto una trama scritta nell’inconscio. Le dinamiche dell’infanzia di ciascun individuo sono cruciali giacché nei primi anni di vita il bambino acquisisce inconsciamente gli elementi che formeranno i tratti della sua futura personalità. L’esempio forse più citato in questi casi è quello dell’adulto che si vendica dei torti subiti nell’infanzia diventando egli stesso aggressore e ottenendo così il trionfo con la prevaricazione e la violenza laddove da bambino ne era stato vittima. L’inconscio dunque vince indiscutibilmente sulla celebre affermazione secondo cui ognuno sarebbe artefice del proprio destino. Scoprire la verità della storia unica e irripetibile della nostra infanzia è il modo per appropriarci dell’integrità emotiva e psichica così da trasformarci da vittime inconsapevoli del destino in individui responsabili che conoscono la propria storia e sanno convivere agevolmente con essa.

Cesare Pavese non intravede alcuna contraddizione tra destino e libertà: il destino non è altro che un ventaglio di opportunità fortuite che i personaggi pavesiani si ritrovano a vivere con consapevolezza e libertà estreme. “Tutto quel che faccio così per capriccio, lo faccio da me – considera Pablo – Ma le cose importanti, le cose che buttano a terra, queste cose succedono per conto loro”.

Pablo non ha pace, si agita smaniosamente tra la tabaccheria (dove lavora) e i locali di periferia (dove suona la chitarra), abbandona Torino per recarsi a Roma dove cambia abitudini, amici ed amori finché giunge alla presa di coscienza del suo destino: l’idea politica diventa guida e sostegno della sua vita. Il compagno è anche il romanzo dell’impegno per Cesare Pavese, la testimonianza concreta di una scelta politica.

A Roma Pablo incontra Scarpa, un giovane antifascista che ha fatto la scelta scomoda di rinunciare ai privilegi della famiglia borghese da cui proviene per militare nel partito comunista. Il concetto di “borghese”, per Pavese, prescinde dalla appartenenza ad una classe sociale e va esteso alla vigliaccheria dell’uomo che, avendo il terrore di qualsivoglia cambiamento, si rifugia nel medesimo scontato equilibrio. “Tutti siamo borghesi quando abbiamo paura. E chiudere gli occhi e non vedere il temporale, è soltanto paura, paura borghese”.