I temi della nostalgia e del confronto generazionale in una intensa scrittura
di Cosimo Campagna
“Una donna di cinquant’anni e una bambina di sei (…) generalmente si considerano estranee e lontanissime come due comete lanciate in due cieli diversi che non si conoscono e sono destinate a non incontrarsi mai.”
Eppure, in Dolce per sé, Dacia Maraini riesce ad avvicinare questi due mondi lontanissimi. La narratrice, Vera ( inequivocabilmente un nome dietro cui la stessa Maraini intende trincerarsi) si rivolge ad una bambina di nome Flavia scrivendole delle lettere che, in sintesi, costituiscono l’ intero romanzo.
E’ un romanzo autobiografico dove Dacia Maraini ripercorre con nostalgia e dolcezza i sentieri della memoria. E come non lasciarsi intrappolare nel labirinto di memorie che la Maraini rievoca con uno stile straordinario?
“Eppure, Flavia, non riesco a mettere via queste fotografie che mi ricordano te, tuo zio Edoardo e quei giorni di perfetta coesione. Come e quando è cominciato il guasto, la distruzione? Non lo so. Non lo saprò mai.”
E’ una nostalgia che si tinge quasi di strazio quella che traspare dalle pagine di Dolce per sè, è la legge del tempo che emerge in modo spietato: la fine di un amore trova una splendida metafora nella tempesta, di quelle che devastano le coste americane e si lasciano dietro “alberi divelti, tetti scoperchiati, auto rovesciate, terreni allagati.” E tuttavia la scrittrice riesce a raccontare del tempo perduto con una delicatezza che incanta chiunque si accinga a leggere un suo romanzo.
Alcuni temi ritornano, dopo essere stati trattati dall’autrice nelle opere precedenti: già in Bagheria Dacia Maraini raccontava della Sicilia, dei suoi profumi e dell’ inevitabile scempio provocato dai suoi stessi abitanti.
“Io spero che un giorno, Flavia, tu possa andare a visitare le ville barocche di Bagheria, che sono tra le cose più belle della Sicilia dopo i templi greci: sempre che i bagherioti, così poco amanti di se stessi e della propria storia non le abbiano definitivamente distrutte.”
C’è amarezza nelle parole della scrittrice, c’è la contemplazione nostalgica di un mondo che è andato irrimediabilmente perduto: “la costa dell’Aspra era un bijou (…) ora è una schifezza tutta muri e cemento. Il mare più pulito e limpido del mondo lo hanno trasformato in un immondezzaio.”
Dolce per sé è forse il primo libro in cui Dacia Maraini racconta lungamente di sé; Un clandestino a bordo, Bagheria, Voci, pur contenendo altresì spunti autobiografici, si erano contraddistinti pure per un certo imbarazzo cosicché la scrittrice, con espedienti stilistici, riusciva a focalizzare precipuamente su altri temi narrativi.
In quest’ultima sua opera la Maraini si denuda più che mai, racconta della irritazione che certe sue abitudini provocavano nel suo ex compagno, peraltro zio di Flavia ( la bambina cui si rivolge in tutto il romanzo), quali la lettura de L’unità, il fatto che non andasse a messa la domenica, che non la divertissero le barzellette sugli ebrei, l’insensibilità rispetto alla potenza delle macchine di Formula uno, la convinzione che il rapporto fra due persone dello stesso sesso fosse lecito e normale e che il matrimonio non fosse il solo fine degli affetti.
Flavia è senz’altro la bambina che c’è in Vera (alias Dacia Maraini) e la stessa autrice riflette in questi termini alla fine del romanzo: ” Non so nemmeno se quella bambina sia semplicemente una parte di me che si affaccia timidamente ai bordi della memoria di un corpo che invecchia.”