Le macchie di Rorschach: tra percezione e rappresentazione (prima parte)

di Cosimo Campagna

SDC11058
Vienna, Innere Stadt

Oltre i luoghi comuni sulla percezione

Una prima considerazione del materiale percettivo costituito dalle tavole di Rorschach potrebbe farci ritenere che si tratti di stimolo “non strutturato” in contrapposizione con l’evidente strutturazione delle cose del mondo circostante che hanno forma, colore e chiara delimitazione rispetto al contesto.

Se considerassimo la vicenda in questi termini tuttavia non avremmo tenuto conto della complessità con la quale oggi si guarda alla stessa percezione che, lungi dall’essere un processo squisitamente fotografico, deve essere messa in relazione con il soggetto ricevente che si muove in funzione di bisogni e pressioni che lo contraddistinguono e, guidando altresì le leggi della percezione, ridefiniscono le cose del mondo circostante.

Gli orizzonti intrapsichici, insomma, ridisegnano la realtà cosicché ogni percezione andrebbe vista come elaborazione della niente affatto scontata esperienza sensoriale. Gli osservatori, oltre a condividere gli stessi vincoli culturali nonché le stesse limitazioni cognitive, si caratterizzano nell’intreccio irriducibile delle storie individuali, degli eventi irripetibili, delle idiosincrasie. Secondo Heinz von Foester “quelle proprietà che si credeva facessero parte delle cose si rivelano proprietà dell’osservatore”.

E’ auspicabile, in questa direzione, la reintegrazione del sistema di significazione dell’osservatore nel processo di contemplazione delle cose; intorno a questa riformulazione dell’osservazione si sono imperniate le opere dei due pilastri della psicologia contemporanea, Piaget e Freud. I pregiudizi – coi quali approcciamo la realtà – sono le sole condizioni che ci consentono di sperimentare le cose del mondo. Si tratta di una chiusura che, paradossalmente, costituisce la precondizione per la comunicazione ed eventualmente per il cambiamento (Ceruti, 1986).

Ragionando in questi termini le macchie di Rorschach si pongono all’interno di un continuum che travalica ogni artificiosa distinzione tra percetti strutturati e non: il processo percettivo, semmai, muove maggiori tensioni verso l’organizzazione dello stimolo, facendosi più vistoso, e consentendo più agevolmente di disaminare le dinamiche messe in gioco nel complesso sistema di filtraggio della stimolazione sensoriale. L’abolizione del confine tra materiale più o meno strutturato prescinde dall’estremizzazione costituita dagli stimoli ambigui del test proiettivo: nella vita di ogni giorno, infatti, ci muoviamo, tra i riconoscimenti immediati delle cose del mondo, ad esempio in condizioni di buona luminosità e di familiarità dell’oggetto, e i riconoscimenti più faticosi che avvengono in condizioni di luce poco vantaggiose e al cospetto di oggetti poco consueti o – ancora – quando la fluidità percettiva è ostacolata da processi tossici e patologici.

Rorschach, già in occasione dell’esposizione delle basi teoriche del suo reattivo, affermava che questo si fondasse sulla percezione pur distinguendo tra una percezione intesa come squisito riconoscimento e una percezione come interpretazione includente i processi di associazione e di memoria. Trattasi di un processo di organizzazione percettiva che non differisce significativamente da quello attuato nella vita quotidiana se non che in quest’ultimo i meccanismi peculiari del processo percettivo sono oscurati dai ricordi e dalle convenzioni laddove le macchie di Rorschach evidenziano marcatamente gli aspetti percettivi e organizzativi della percezione.

La concezione di Rorschach come compito fondamentalmente percettivo è condivisa altresì da Exner che tuttavia ne considera altresì l’aspetto di problem solving che coinvolge i processi di cognizione, giudizio e selezione. La considerazione del Rorschach quale compito percettivo, seppur valevole, non può prescindere dalla funzione rappresentazionale che – integrando quella percettiva – restituisce al test tutta l’importanza in quanto metodo di valutazione della personalità.

Già Piaget aveva rilevato l’artificiosità di una distinzione tra percezione e rappresentazione e, successivamente, Blatt ha distribuito le risposte al Rorschach lungo un continuum agli estremi del quale riscontriamo – da una parte – le risposte di forma, colore e chiaroscuro, con le quali il soggetto reagisce alle caratteristiche essenzialmente percettive delle tavole, e – dall’altra – le risposte di movimento e di contenuto dettate dai sistemi di significato essenzialmente individuali.

Il Rorschach è guardato da una prospettiva rappresentazionale anche da Willock che ha concettualizzato la relazione esistente tra il soggetto e gli stimoli percettivi (le tavole del proiettivo, in questo caso) come spazio transizionale, mutuando una celebre teorizzazione di Wilfred Bion.

L’incontro del paziente con le tavole costituisce il luogo della creatività, l’area intermedia tra il mondo esterno ed interno, tra fantasia e realtà. Al Rorschach, dunque, va attribuito il valore di compito rappresentazionale e non soltanto percettivo dato che i percetti riflettono una modalità individuale di pensiero e di percezione dalla quale risalire ai principi organizzatori della stessa personalità.