Una lezione di vita che viene dalla letteratura e dalla psicoanalisi
Chiunque si accinga a leggere i classici della letteratura si imbatte quasi subito in Siddharta, ecco perché è uno dei romanzi più letti dai ragazzi : la curiosità esistenziale nonché l’affanno del vivere dell’eroe di Hermann Hesse si sintonizzano perfettamente con le ricerche e le ansie che accompagnano ogni adolescenza. Ecco come Hesse ci presenta Siddharta: “Portava (…) il perizoma e una tonaca color terra, senza cuciture…. Tacendo stava in piedi sotto la pioggia; l’acqua gli cadeva dai capelli sulle spalle gelate.”
Siddharta, figlio di un Bramino, guarda alla illusorietà dell’io, pratica la concentrazione così da raggiungere la spersonalizzazione. Ma cosa sono in fondo la sospensione del respiro e l’abbandono del corpo se non degli espedienti per fuggire all’io? Ma, poi, perché guardare al di là delle cose sensibili de “il senso e l’essenza delle cose” sono “nelle cose stesse”?
Ed ecco che Siddharta comincia a guardare ai tramonti, al mare, agli orizzonti… “Di notte vedeva ordinarsi in cielo le stelle, e la falce della luna galleggiare come una nave nell’azzurro.” E poi Siddharta si lascerà inghiottire dalla città. Ridesterà i suoi sensi ( a lungo sublimati durante il periodo mistico) e assaporerà i piaceri della voluttà, inseguirà persino il dio denaro divenendo un mercante senza scrupoli. Lo ritroviamo alla fine del cammino presso il fiume a contemplare l’acqua che scorre “sempre in ogni tempo la stessa, eppure in ogni istante un’altra.”
Masud Khan, psicoanalista pakistano allievo di Winnicott, ne I sé nascosti ha trattato ampiamente questo stato psichico di inerzia che è “un modo di essere caratterizzato da una quiete vigile e da una consapevolezza ricettiva, desta e sensibile” (Khan,1990, p.198). La società in cui viviamo è rigidamente pragmatica e vige un’apparente attenzione per l’individuo da parte dello Stato, della sociologia e della psichiatria ma “presi da eccessivo zelo nel soccorrere e nell’aiutare l’individuo, abbiamo forse dimenticato che uno dei bisogni fondamentali è quello di disporre di uno spazio privato non integrato e di ‘restare ozioso’ ”(Khan,1990, p.199).
Delle volte ci si affanna a cercare maggiore quantità di tempo libero e si finisce per viverlo in modo inautentico ricorrendo a distrazioni che possano colmare il senso di vuoto e qualora le distrazioni non fossero sufficienti ecco che si “ricorre” al malessere e alla malattia. Gran parte dei disturbi psichici che si riscontrano nella pratica clinica è la conseguenza di conflitti nonché delle aspettative errate colle quali il soggetto si rapporta all’esperienza.
E’ un aspetto dell’esperienza di sé privato e non conflittuale quello auspicato da Masud Khan, un “restare oziosi”, essere “come un campo lasciato a maggese”. Il concetto rinvia al “terreno che è stato ben dissodato e arato, ma che non viene seminato per un anno e più” (Khan, 1990, p.198). Già, l’organizzazione del tempo libero è sempre più business, un vero e proprio giro d’affari colossale laddove “restare come un campo coltivato a maggese è una dimostrazione della capacità di una persona di essere spontanea quando è sola con se stessa” (Khan, 1990, p.202).
Masud Khan ed Hermann Hesse ci danno una lezione di vita. Psicoanalisi e letteratura, seppur percorrendo diversi stili espositivi e di pensiero ci introducono un concetto veramente prezioso che, se coltivato ogni giorno, ci renderebbe di certo più felici!
Purtuttavia, rileggendo Siddharta, mi son chiesto se non avessi avuto di meglio da fare: già, lo stile aulico e curato mi è sembrato poco sintonico con l’inasprimento che gli anni procurano. O forse ancora deve essere subentrata in me l’invidia irritante con cui si guarda ai tumulti della adolescenza e li si raffronta con il grigiore stagnante in cui talvolta affondano le nostre giornate!