Un romanzo che è un elogio della malattia: La montagna incantata di Thomas Mann*
Da sempre alla malattia e agli anomali stati psichici sono stati attribuiti elementi simbolici e nella letteratura ottocentesca la malattia costituisce il segno esterno dell’affinamento spirituale e subentra così alla salute e alla produttività economica.
Affinché il significato di malattia venga trasferito dal semplicistico evento fisico ai risvolti etici e psicologici, è necessario che la malattia stessa sia realmente diffusa e temibile, che se ne guarisca con difficoltà, che ne siano sconosciute le cause.
Nei tempi andati la malattia era stata inquadrata in un’ottica punitiva: angosce e tristezze accompagnavano la peste, il flagello che colpiva non il singolo individuo ma la società intera e nei mali quali la lebbra, il vaiolo e la sifilide si riteneva che la stortura fisica scaturisse da una evidente deformazione etica.
Nella letteratura ottocentesca è la tubercolosi la malattia alla quale vengono affibbiate connotazioni che superano lo scontato aspetto materiale. La tubercolosi – che non costituì più una metafora interessante quando si individuò nel bacillo di Koch la causa fisica – verrà in seguito “rimpiazzata” dalle malattie psichiche: la nevrosi e la psicosi.
Il sintomo dello stato di disagio dell’individuo è da ricercare nei meandri di una complicata esistenza interiore, in una mancata integrazione con l’ambiente.
Le tematiche centrali dell’opera di Thomas Mann ruotano attorno alla malattia, quale possibile via di fuga. Ne La montagna incantata il giovane Hans Castorp si reca in un sanatorio per far visita a un cugino la cui carriera militare è stata interrotta dall’irrompere di una grave forma di tubercolosi. Durante la permanenza nel luogo Castorp prova grande attrazione verso un’affascinante paziente del sanatorio, la russa Clawdia e poco prima della partenza manifesta una forma febbrile che il primario diagnostica come un possibile focolaio di tubercolosi. Ed ecco che il medico suggerisce a Castorp di rinviare la partenza e di sottoporsi alle cure che gli saranno necessarie.
L’amore per Clawdia e il fascino della vita scandita dai ritmi sempre uguali del sanatorio, ove il tempo acquista un significato nuovo e lascia spazio alla meditazione e alla conoscenza dei fenomeni di vita e di morte, tratteranno Castorp nel sanatorio per ben sette anni.
“L’intromissione di abitudini nuove e completamente diverse in quelle consuete è l’unico mezzo di trattenere la nostra vita, di ravvivare il nostro senso del tempo, insomma di raggiungere un ringiovanimento, un rafforzamento, una distensione della nostra vicenda temporale, e con questa anche un rinnovamento del nostro senso della vita.” (Thomas Mann, 1932, p.117)
Come Ascenbach in La morte a Venezia anche Hans Castorp parte per una “vacanza” e l’ambito di tale vacanza è una dimensione fatale nell’esistenza dell’individuo, che fa emergere dalle profondità insondate della psiche tendenze e pulsioni che ne sconvolgono le strutture apparentemente consolidate. La Venezia esotica e corrotta dal colera lascia spazio al sanatorio dove, dietro elementari appetiti erotici e gastronomici, si muore nelle mutevoli forme devastatrici assunte dalla tubercolosi.
La morte e la malattia in ambedue i romanzi si intrecciano ai ritmi e ai tempi della natura: il ritmo sempre uguale del mare in La morte a Venezia e l’eterno presente privo di stagioni de La montagna incantata.
“L’unico modo sano, nobile, religioso, di considerare la morte è di concepirla e di sentirla come parte integrante, come complemento, come sacra condizione della vita, ma non di scinderla in qualche modo spiritualmente dalla vita, di porla in contrasto, di farne cosa ripugnante ad essa.” (Thomas Mann, 1932, p.221)
La malattia dunque subentra alla salute ma anche alla produttività borghese che entra decisamente in crisi. In La morte a Venezia le virtù borghesi di Ascenbach erano giunte ad uno stato di tale sublimazione da diventare fragili e periture, ne La montagna incantata il disgregarsi della realtà borghese si manifesta nel comportamento dei malati che – nell’ambito del sanatorio – non si muovono , rimangono sempre uguali a loro stessi e chiusi nel ritmo immutabile delle giornate all’insegna della staticità e dell’improduttività!
Ed è sempre la malattia a costituire la dimensione fatale nella vita dei personaggi dei due romanzi di Mann: ne La morte a Venezia lo scrittore Von Ascenbach non riuscirà a lasciare una Venezia infettata dalla peste pur di restare accanto all’amato Tadzio, ne La montagna incantata la malattia diventa addirittura un prezioso pretesto del quale Castorp “si serve” per trattenersi nel sanatorio e non separarsi da Clawdia, la donna ricoverata di cui egli si innamora perdutamente.
E’ così che i due eroi di Thomas Mann vengono sequestrati inaspettatamente dal loro destino!
Bibliografia
Mann, T. (1930), La montagna incantata. Milano: Dall’Oglio, 1988.
*vedi Integrazione Clinica : Quando il paziente ha bisogno del sintomo La malattia psichica nella maggior parte dei casi è una vera e propria strategia di elaborazione patologica di un conflitto