Quando il paziente ha bisogno del sintomo

La malattia psichica nella maggior parte dei casi è una vera e propria strategia di elaborazione patologica di un conflitto*

Edvard Munch: “La fanciulla malata”. Olio su tela:119,5×118,5 cm. Galleria nazionale, Oslo

La malattia non è sempre subita passivamente e, in modo particolare quando si tratta di patologie psichiche, si configura come una vera e propria strategia che viene agita attivamente – anche se rigida e inadeguata – e viene impiegata per risolvere un conflitto tra istanze psicologiche inconciliabili.

Quando il sintomo è una strategia (perlopiù inconscia) di elaborazione patologica del conflitto il paziente si aggrappa al suo sintomo.  Ad esempio un soggetto che soffre per un senso di inferiorità fisica o psichica e che intraprende una psicoterapia può giungere a “scoprire” che sin dall’infanzia la madre non si occupava di lui o che il padre lo trattava con disprezzo e tirannia. In un primo momento il terapeuta ipotizza un disturbo di regolazione dell’autostima riconducibile appunto al fatto che il paziente non è stato adeguatamente incoraggiato e “rispecchiato” dalle figure genitoriali fin dalla prima infanzia. L’autosvalutazione del paziente invece può persistere e opporsi agli sforzi del terapeuta di sostenerlo e di renderlo maggiormente autonomo nelle scelte: il paziente ha imparato fin da piccolo che sottomettersi all’oggetto gli consentiva di conservare una parte dell’affetto e dell’interesse da parte dei genitori ed in questa direzione ha strutturato marcatamente il senso di svalutazione di sé. Il paziente ha bisogno del sintomo ed è per questo che tende a resistere alle occasioni di risoluzione dello stesso!

Solo la scoperta della contrapposizione intrapsichica tra il desiderio di sviluppo di un Sé libero e autonomo e la nostalgia di essere amato e sostenuto può dare avvio alla ricerca di soluzioni alternative e di evitare di ripiegare rigidamente su una soltanto delle due posizioni contrapposte.

Nei trattamenti psicoterapeutici, così come nelle supervisioni, è indispensabile porsi sempre l’interrogativo: ‹‹A cosa serve un dato sintomo o un dato stile di comportamento? Quale utilità potrebbe avere per il paziente?››

In certi casi infatti solo interrogandosi sul significato che il sintomo ha per il paziente e sui benefici apportati paradossalmente da esso si riesce ad avere una comprensione soddisfacente di una dinamica psicologica che altrimenti sarebbe potuta sembrare complessa e addirittura oscura!

Già, dalla malattia se ne può trarre un vero e proprio beneficio. Un’altra situazione ricorrente è ad esempio quella che vede un soggetto avvinghiato morbosamente al proprio ideale dell’io ovvero all’idea di perfezione che auspica per sé: talvolta si arriva a strutturare un vero e proprio falso sé diametralmente opposto all’autenticità dell’individuo che viene persino denegata pur di affermare la propria idea di grandiosità oppure – in ogni caso – la personalità auspicata!

Il soggetto soffre inevitabilmente per essersi allontanato dalle proprie quote di genuinità e veridicità, si accorge di recitare un personaggio che non gli appartiene eppure sembra non voler rinunciare a vivere secondo il proprio ideale dell’io anche a costo di una sofferenza psichica che può arrivare a essere insostenibile!

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*Integrazione Clinica all’articolo inserito in “Letture”: Dalla tubercolosi alla nevrosi: tutti i “vantaggi” della malattia