Sul caso clinico dell’Uomo dei lupi di Freud

Miller, erede di Lacan, si confronta con il caso più controverso della storia della psicoanalisi

uomo lupi

"Ho sognato che è notte e sono nel mio letto (...) 
Improvvisamente la finestra si apre da sola 
e con grande spavento vedo che 
sul grosso noce davanti alla finestra 
sono seduti alcuni lupi bianchi (...) 
avevano la coda grossa come le volpi e le orecchie ritte 
come fanno i cani quando prestano attenzione a qualcosa. 
Preso dall'angoscia, evidentemente, 
di esser divorato dai lupi, 
urlai e mi svegliai

Il caso dell’uomo dei lupi di Sigmund Freud (1914) è probabilmente il più famoso e studiato di tutta la psicoanalisi. L’uomo dei lupi era un ragazzo di ventitré anni di origine russa di nome Sergej quando suonava per la prima volta il campanello di Freud. Lo psicoanalista austriaco lo descriveva come un uomo assolutamente incapace di affrontare la vita in maniera autonoma e che non poteva fare a meno degli altri. Freud  ipotizzò una nevrosi ossessiva seppure oggi presumibilmente il giovane sarebbe stato inquadrato in un Disturbo Borderline di personalità.  L’ uomo dei lupi è stato così denominato dal sogno fatto da Sergei all’età di quattro anni in cui vide dalla finestra della stanza alcuni lupi appollaiati su un albero che lo fissavano. Egli si svegliò dal sonno in preda al panico. Secondo l’interpretazione di Freud questo sogno era la rappresentazione di un evento realmente accaduto a Sergej da piccolo in cui aveva visto i genitori avere un rapporto sessuale.

Le più diverse e affascinanti interpretazioni sono state fatte di questo sogno e ancor più varie sono state le analisi cliniche del caso: una delle più interessanti è illustrata in “Commento al caso clinico dell’Uomo dei lupi” di Jacques-Alain Miller, psicoanalista lacaniano, che compie una esplorazione del mondo interno del paziente di Freud, tra il registro del simbolico e dell’immaginario.

Nel caso dell’uomo dei lupi sono riuniti insieme alcuni tratti valorizzati dalla cura analitica: la tenacia della fissazione, la straordinaria inclinazione all’ambivalenza e la capacità di conservare gli uni accanto agli altri i più svariati e contraddittori investimenti libidici. Nell’uomo dei lupi coesistono, una accanto all’altra, due correnti contrarie per cui da un lato v’è l’orrore dell’angoscia di castrazione mentre dall’altro emerge l’impulso (a tratti violento) verso le donne che potrebbe sembrare un’assunzione di virilità e che dissimula di fatto che tale virilità è stata assunta in modo incompleto ed è da considerarsi perlopiù come una risposta reattiva agli attacchi inferti al narcisismo del soggetto: l’inadeguatezza esperita nel rapporto di coppia con una donna e, ancor prima, l’orrore della castrazione!

Questo è il binarismo che si prospetta: da una parte la compulsione amorosa, virile e apparentemente univoca e dall’altra la posizione femminilizzante. Due posizioni, dunque: l’attività virile si contrappone agli elementi di passività femminile e all’identificazione con la donna e, dunque, con la madre. “Nessuna posizione della libido, una volta acquisita, poteva essere interamente revocata dalla posizione libidica successiva” scrive Freud a proposito del caso clinico dell’Uomo dei lupi, “ogni posizione continuava ad esistere accanto a tutte le altre, consentendo al malato di oscillare permanentemente tra più possibilità; ciò si rivelò incompatibile con il raggiungimento di un carattere stabile, per via delle continue oscillazioni!”

Dunque, abbiamo una passività fondamentale e, allo stesso tempo, un atteggiamento conquistatore, virile, sadico e aggressivo che è il rovescio della prima: la passività fondamentale – data dall’identificazione colla madre- si inverte in aggressività il cui motore è la “virilità narcisistica”. C’è una sessuazione inconscia malgrado una virilità manifesta risvegliata automaticamente da una situazione tipica. “Nel momento in cui c’è un attacco all’immagine si verifica uno scatenamento – scrive Jacques-Alain Miller – L’Uomo dei lupi perde i suoi punti di riferimento nel momento in cui c’è un attentato all’immagine del padre ovvero all’immagine fallica”. Per Freud, così come per Lacan, questa virilità manca di autenticità cioè – come direbbe appunto Lacan- è del registro immaginario, del registro dell’io: nell’inconscio l’uomo dei lupi è una donna, al livello immaginario invece c’è una affermazione di virilità. Nel tempo dell’infanzia l’uomo dei lupi riesce a sublimare l’inclinazione passiva e femminilizzante con la religiosità, instillata al bambino dalla madre: i sintomi di angoscia vengono sostituiti in realtà da sintomi di tipo ossessivo ma è il prezzo da pagare per lasciare l’angoscia di castrazione in direzione della pacificazione. In seguito la femminilizzazione inconscia sarà sublimata dalla carriera militare perché per il soggetto continuerà ad esserci un conflitto tra la passività fondamentale e il narcisismo dell’organo genitale tanto che la depressione si innesca ogniqualvolta c’è un attacco al narcisismo: questo spiega perché la passività dell’Uomo dei lupi non si sia trasformata semplicemente in omosessualità!

Nell’inconscio le cose si mescolano e possono coesistere anche contraddicendosi tra di loro: nell’inconscio non c’è un aut aut. La grande soluzione freudiana per questo caso è dunque la coesistenza.

Il carattere compulsivo dell’attività sessuale dell’uomo dei lupi consiste dunque nell’affermare che non è castrato e purtuttavia l’oscillazione tra attività e passività presumibilmente non esita su ciò che sembra essere il modo di godere principale del soggetto ovvero la sua identificazione con la donna:  Jacques-Alain Miller a tal proposito afferma che in questo caso la scelta eterosessuale possa essere assimilabile concettualmente a un’ ènclave ovvero a un territorio non molto esteso e completamente chiuso entro i confini di uno stato diverso da quello cui politicamente appartiene. La scelta dell’oggetto eterosessuale è perciò costantemente insoddisfacente perché costituisce una difesa in rapporto alla modalità di godimento principale del soggetto!

Bibliografia

Miller, J.A. (1866),  Commento al caso clinico dell’Uomo dei lupi, Macerata: Quodibet studio 2011.

Freud S. Per gli scritti freudiani si fa riferimento all’edizione Boringhieri delle Opere in 12 volumi.

L’uomo dei lupi, 1914, vol.7.