Le donne e il corpo sognato nella scrittura vibrante di Dacia Maraini
“E’ l’idea della perfezione che tormenta, ferisce, guasta i rapporti che ogni donna ha con il proprio corpo”.
Questa riflessione spicca sulla copertina de Un clandestino a bordo di Dacia Maraini, scrittrice dal linguaggio semplice e complesso nel contempo, a tratti struggente e che arriva nel profondo.
Il rapporto che le donne instaurano con il loro corpo è quasi sempre difficile e Dacia Maraini, in quanto donna, sa quanto la parola “corpo” possa essere vicina all’essere donna e quanto, nel contempo,questa possa esserle nemica, infida e inquietante , “pericolosa”; le donne, dice la Maraini, non si sentono mai del tutto a loro agio nel loro corpo, “nemmeno nei momenti della sua maggiore freschezza e avvenenza”.
E’ attualissimo il mito della matrigna di Biancaneve che chiede ansiosa: “Specchio, specchio delle mie brame, chi è la più bella del reame?”. E’ un’idea della bellezza che si è protratta per troppo tempo, un’idea della bellezza così frammista ai concetti astratti di compiutezza e di armonia da essere più vicina “alle ombre di Platone che alla vita di tutti i giorni”.
Perché mai inseguire ancora un ideale della bellezza femminile assolutamente avulso dal ritmo dei tempi moderni e della vicenda femminile dove tutto, dall’amore alla maternità, tende a deformarlo?
La cultura dei padri non ha giovato affatto alle donne: la Maraini riflette in questi termini mentre osserva, dalla sua casa romana, i giovani che si ritrovano davanti a un bar. I ragazzi si muovono in modo vociante e disinvolto, poggiano i piedi per terra rivelando un “preteso possesso del territorio”; le ragazze, di converso, avanzano in ‘bilico’ intente come sono a rientrare in quella cornice di fragilità e bellezza manierata che costituisce il presupposto della femminilità.
Per legge naturale Adamo sarebbe dovuto nascere dal grembo di Eva e invece ecco che anche la tradizione biblica decreta il privilegio sessuale facendo nascere Eva da una costola di Adamo.
E cosa dire di certe giornaliste che, oltre al superbo piglio professionale, esibiscono gambe lunghe e affusolate?
Non c’è dubbio, purtroppo, che quando una donna cerca di conciliare il codice linguistico del corpo con quello della parola e del pensiero finisce col sacrificare il secondo: la parola e il pensiero sono acquisizioni recenti per il “gentil” sesso ed ecco che la speculazione intellettuale suona distorta sulle labbra femminili.
“Quando una donna crede di giostrare con i due codici dominandoli ambedue” scrive Dacia Maraini “in realtà finisce per sacrificarne uno, il più delicato e fragile, il più recentemente acquisito alla sapienza femminile”.
E che dire ancora dello stupido luogo comune secondo cui la prostituta rincorre il piacere in modo ossessivo ed egoistico?
Carla Corso, coraggiosa prostituta che ha lottato non poco per la dignità del suo mestiere, ha affermato quanto “l’odore dell’intimità di uno sconosciuto sia intollerabile”; ciò che serve alle prostitute, quindi, è l’anestesia dei sensi per poter così tollerare l’amplesso con un estraneo: “la gioia dei sensi, l’abbandono di sé sono negati a chi vende il suo bene erotico”.
Che non sia proprio la sessualità, conclude Dacia Maraini, a frapporsi tra il corpo femminile e ogni progetto di felicità?
A guardare i classici della letteratura europea sembrerebbe di si: Madame Bovary e Anna Karenina sono “uccise” dai loro autori quasi a testimonianza di quanto sia pericoloso e sconveniente per la donna la ricerca di una felicità carnale.
Nelle ultime pagine Dacia Maraini lascia aperti molti interrogativi, donando così preziosi spunti di riflessione ai suoi lettori: “Cos’è che rende un corpo felice? Un corpo è felice quando ama o quando è amato? Quando si sente in armonia con le cose intorno o quando si trova in opposizione con il mondo e si sforza di conquistarlo?”
Dacia Maraini, Un clandestino a bordo, Rizzoli, Milano1996