Il gioco d’azzardo raccontato da un genio della letteratura*
di Cosimo Campagna
“I giocatori sanno bene che si può resistere addirittura per ventiquattr’ore di seguito con le carte in mano senza neanche gettare un’occhiata a destra o a sinistra.”
Il giocatore di Fedor Dostoevskij si legge d’un fiato nello spazio di un pomeriggio e in quel pomeriggio si prova realmente un senso di smarrimento, si riflette sulle proprie dipendenze, si percepisce netto un nodo in gola!
Aleksej Ivanovic narra in prima persona la storia de Il giocatore e ciò favorisce l’immedesimazione del lettore con il personaggio centrale.
Nelle prime pagine Alesksej gioca per la prima volta alla roulette e Dostoevskij si serve di tale espediente per indugiare nella descrizione di ambienti e situazioni a lui tanto familiari (essendo stato egli stesso un giocatore d’azzardo). Con Aleksej il lettore scopre le sale da gioco, attraverso i suoi occhi assiste alle prime puntate e osserva le facce estenuate degli altri giocatori.
“Ero un giocatore anch’io: me n’ero accorto in quel preciso momento. Le braccia e le gambe mi tremavano e la testa mi girava“. Da quando Aleksej si accorge per la prima volta d’essere un giocatore a quando, nelle ultime pagine, contempla la propria rovina, il lettore vive un crescendo di emozioni al punto da esaltarsi o disperarsi a seconda che Aleksej vinca o perda.
“Ero come preso dalla febbre e nell’eccitazione ho puntato tutto un mucchio di denaro sul rosso e… sono tornato in me! E soltanto in quel momento ho sentito un brivido di terrore corrermi per la schiena mentre mi prendeva un tremito alle mani e ai piedi. In un attimo mi sono reso conto con terrore cosa significava per me perdere: insieme a quell’oro puntavo tutta la mia vita” (Dostoevskij, 1992, p.156).
La frenesia si interrompe quasi totalmente nell’ultimo capitolo del romanzo dove emerge, tangibilissima, la disperazione del giocatore che constata l’ansia continua, la costante attesa di qualcosa, la capacità di starsene intere giornate accanto al tavolo così da osservare il gioco… “Mi capita di sognarmi la roulette perfino di notte” confessa Aleksej a Mister Astley, suo interlocutore alla fine del romanzo. Questi, a sua volta, sottolinea ad Aleksej la sua situazione: “Lei vegeta (…) lei ha rinunciato perfino ai suoi ricordi…Lei adesso ha dimenticato tutte le sue migliori inclinazioni di allora; i suoi sogni di adesso, anche quelli più urgenti ed essenziali, ormai non vanno oltre al pair e impair, rouge, noir…“
Ma ecco che Aleksej cerca di reagire ripromettendosi di non perdere il dominio di sè e di risorgere dall’uomo completamente perduto. Ed è quanto è possibile a chi si avvicina sinceramente e gradualmente – e senza farsi schiacciare dal terrore iniziale – a un percorso di conoscenza di sé così da riempire il senso il vuoto da cui il giocatore rifugge invano e spasmodicamente, incapace di trovare nuove significazioni.
“Debbo dire che c’è qualcosa di particolare nella sensazione che provi quando, solo in terra straniera, lontano dalla patria e dagli amici, senza neanche sapere quel che mangerai domani, punti l’ultimo fiorino, proprio l’ultimo!.”
Dostoevskij M. F., Il giocatore, ed. or.1866, tr.it. Garzanti, Milano 1992
*vedi Integrazione Clinica: Il gioco e l’azzardo: una distinzione fondamentale La capacità di giocare è segno di equilibrio e salute psichica, da non confondere con la compulsione dell’azzardo