Dacia Maraini e Bagheria: la mafia, lo scempio edilizio… ma anche un lungo racconto si sé
Dopo Il lato oscuro del cuore anche quella che segue è una deviazione rispetto al percorso da me intrapreso in Letture ma quando succedono eventi straordinari non si può ignorarli, ancor più se la sensibilità ne viene singolarmente colpita e la coscienza civile scalpita e si volge in direzione della libertà!
La sera dell’1 novembre 2015 assaporavo il tempo del relax in uno dei tanti bar di Bagheria: una sera come tante, in compagnia degli amici in una cittadina capace di creare atmosfere rarefatte e dagli scorci alquanto suggestivi! Eppure avrei dovuto respirare qualcosa in più nell’aria ovvero che giusto quella notte si stava preparando un risveglio delle coscienze, una contestazione decisa al controllo sociale vigente da parte della criminalità.
Quella stessa notte – esattamente alle 5.00 del 2 novembre – sarebbero state arrestate ventidue persone grazie alla collaborazione di trentasei imprenditori che si sono ribellati alle estorsioni. La scrittrice Dacia Maraini, che ha vissuto gli anni dell’infanzia a Bagheria, non ha perso l’occasione per esaltare l’assunzione di coraggio dei bagherioti: “Quando ho sentito la notizia sono saltata dalla sedia e ho pensato che Bagheria finalmente tira fuori la sua anima migliore”. Dacia Maraini a Repubblica dopo gli arresti a Bagheria: “Sono saltata dalla sedia …”
Ed ecco che ho ritrovato Bagheria, un vecchio romanzo della Maraini che avevo letto con grande interesse e dove la scrittrice – più di vent’anni fa – già denunciava il malcostume imperante a Bagheria: alle descrizioni di paesaggi incantevoli si affianca, infatti, la denunzia accorata di “un certo modo di fare politica”. La Maraini si scaglia contro lo scempio edilizio degli anni Sessanta che ha provocato la distruzione sistematica delle bellezze naturali e architettoniche di Bagheria.
“I lavori hanno continuato a imperversare, e i due polmoni verdi di Bagheria sono stati «mangiati in due bocconi». Al loro posto (…) un mare di case nuove, affastellate in dispregio di ogni regola architettonica e urbanistica. (…) In questo modo le straordinarie ville settecentesche di Bagheria, che sono fra le più preziose ricchezze della Sicilia, sono state private dei loro contorni, rimanendo lì (…) come testimoni intirizziti e malmenati di un passato che si ha fretta di distruggere” (ed. Superbur 1996, pagg. 57-58).
Leggendo Bagheria di Dacia Maraini si respira un’aria profondamente familiare: c’è Porticello, col suo “rumore continuo delle onde sulle rocce”, c’è Aspra “con le sue barche da pesca tirate in secca sulla rena bianca” e soprattutto c’è Bagheria “circondata di limoni e ulivi, sospesa in alto sopra le colline, rinfrescata da venti salsi che vengono dalle parti di Capo Zafferano”.
La predilezione dell’autrice per il mare emerge da certe pagine scritte con estrema poesia: “(…) Facevo conoscenza con quel corpo materno e sfuggente, maligno e gentile che è il mare e e ne sarei innamorata per sempre”.
Ma Bagheria è soprattutto un lungo racconto di sé dove l’autrice, più che mai attenta alla musicalità dei ritmi descrittivi, narra di quando – da bambina – andava a caccia di gelsi o correva contenta in mezzo ai contadini.
Il sentimento profondo per il padre emerge in modo struggente: “ L’ho amato molto questo mio padre, più di quanto sia lecito amare un padre. E per tutta la mia infanzia l’ho amato senza essere ricambiata. E’ stato un amore solitario il mio. Vegliavo su di lui, sulle sue impronte mai ripercorse, sui suoi odori segreti”.
C’è un’intensa nostalgia nel romanzo di Dacia Maraini, la consapevolezza profonda di un tempo – coi suoi profumi – che è andato irrimediabilemte perduto: “Anni dopo ho piantato dei gelsomini sulla mia terrazza romana, in estate spio il loro aprirsi aspettando di coglierne il profumo. Ma ogni volta è una delusione. Il profumo c’è ma è così fievole e leggero, non ha niente dell’intensità quasi dolorosa dei gelsomini di Bagheria”.