Tracce di Psicologia Dinamica nei romanzi di Fedor Dostoevskij*
Terza e ultima parte
Il paesaggio del naufragio
In Dostoevskij l’evocazione del paesaggio è pesantemente embricata alle vicissitudini dei personaggi: la tempesta su Pietroburgo – ne Il sosia – non è scindibile dalla frantumazione dell’equilibrio psichico di Goljàdkin, conseguentemente all’incontro col suo sosia. Lo smarrimento del signor Goljàdkin per le strade di una Pietroburgo umida e piovosa è in realtà uno smarrimento dentro di sé.
In Dostoevskij il paesaggio è quasi immerso nel buio o comunque nella luce crepuscolare e lo scrittore sembra evocarlo solo quando questo prelude ad una svolta inquietante nella storia dei suoi personaggi.
Ne L’idiota la descrizione di una Pietroburgo avvolta nelle tenebre anticipa il dramma del principe Myskin che, di lì a poco, avrebbe scoperto il cadavere di Nastasja Filippovna, la donna da lui tanto amata.
Ne Il giocatore (tr.it.1992, p.161) il sé di Aleksej Ivanovic, schiacciato dalla frenesia del gioco d’azzardo, ha i colori della strada che il giocatore percorre, di notte, per recarsi al casinò: «Il viale era così buio che non riuscivo nemmeno a vedere le mie mani…».
Dostoevskij sfugge ai colori vividi rifugiandosi nelle tinte scure laddove si spengono i tumulti del gran mondo e si dispiegano i sentieri del mondo interno. Il cielo plumbeo di Pietroburgo si insinua negli orizzonti interni dei personaggi dostoevskijani che quasi provano sentimenti di stranietudine al cospetto di una maggiore luminosità del paesaggio. Ne L’idiota il principe Myskin si ricorda di una giornata di sole in Svizzera, vissuta con profonda inquietudine.
“Davanti a sé vedeva il cielo limpidamente azzurro, sotto di sé il lago, intorno l’orizzonte luminoso, senza principio né fine. Ed egli contemplava tutto ciò con l’anima torturata. Ora si ricordò come tendeva le braccia verso quell’azzurro risplendente e lontano e piangeva. Si sentiva estraneo a quella magnificenza e ne soffriva. “(Dostoevskij, tr.it. 1986, p. )
Il senso di smarrimento che aleggia in ogni opera di Dostoevskij non tollera che il sole possa rischiarare le tenebre del vissuto abbandonico dei personaggi dostoevskijani i quali si muovono disinvoltamente dentro atmosfere scure, preferiscono l’ora del crepuscolo, «quando il freddo comincia a pungere e si accendono per le strade i fanali a gas…» (Dostoevskij, tr.it.1986, p.497).
Non c’è dubbio: Dostoevskij spegne sapientemente i colori, sfuma la luminosità del paesaggio, insomma predilige il buio. Il paesaggio funge da cartina tornasole perché anche l’anima è oscura. Leibniz è dalla parte di Dostoevskij: «Lo spirito è oscuro, il fondo dello spirito è scuro». E Gilles Deleuze (tr.it.1990, p.133) riprende il pensiero di Leibniz soffermandosi sul concetto secondo cui «il chiaro esce dall’oscuro e non smette di ritornarvi».
Leibniz concepiva l’anima come una monade, senza porte né finestre, che trae ogni percezione chiara dal suo fondo oscuro. Ciascuna monade esprime oscuramente e confusivamente il mondo intero poiché essa è finita mentre il mondo è infinito. Il mondo esiste solo nella misura in cui questo viene concepito all’interno delle monadi. Esso non ha consistenza al di fuori delle monadi ed esiste soltanto dentro brevi percezioni allucinatorie, dentro «uno sciabordio, un rumore, una bruma, una danza di pulviscoli impalpabili» (Deleuze, tr.it.1990, p.129).
La percezione del paesaggio in Dostoevskij prescinde decisamente da ogni meccanismo fisico, è a tratti allucinatoria ovvero il prodotto di un processo esclusivamente psichico. Il paesaggio non ha consistenza al di fuori delle vicende dei personaggi, non prescinde mai dall’umore di essi.
Di rado il cielo si rischiara nei romanzi di Dostoevskij e in ogni caso questo accade parallelamente a una svolta felice nella storia dei personaggi: “Uscito in strada, il signor Goljàdkin si sentì come in paradiso, tanto che provò persino il desiderio di fare un giretto e di passeggiare per la Prospettiva Nevskij. (…) Una svolta davvero inaspettata in tuta la faccenda. E anche il tempo si è rasserenato…“(Dostoevskij, Il sosia, trad.it. 1991).
Quasi sempre, invece, il paesaggio è immerso nelle tenebre e si impone con violenza ogniqualvolta le storie dei personaggi propendono verso svolte inquietanti: il cielo nuvoloso, la città di sera, la notte preludono – infatti – alla consumazione di un dramma!
Non è cambiato molto dalla prima volta che ho letto Delitto e castigo: forse le illusioni nuove hanno preso il posto di quelle vecchie. Dopo trent’anni sto rileggendolo ancora una volta e sono anche stavolta, come Raskòlnikov, derelitto e naufrago!
*vedi approfondimento: I classici della letteratura sono lezioni di Psicologia Dinamica I grandi scrittori hanno intuito le elaborazioni di Freud
Bibliografia
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