Il naufragio del Sé

Tracce di Psicologia Dinamica nei romanzi di Fëdor Dostoevskij*

Introduzione

“Jeune homme nu assis au bord de la mer” di Jean-Hippolyte Flandrin. Riproduzione su carta. Foto di Daniele Rotolo.

Si danno casi nella vita in cui si possono ‘bruciare i ponti’, in cui si può anche non tornare a casa: la vita non è fatta solo di pranzi, di colazioni e principi…” (Dostoevskij, 1986, p.712)

Con coraggio Dostoevskij rifiuta ogni astratta convenzione, ogni forma imposta dalla società del suo tempo e scruta invece dentro gli anfratti psichici più oscuri, dentro le contraddizioni laddove l’uomo, non potendo più aggrapparsi all’ovvio, precipita sempre più nel baratro.

Gli era venuta a un tratto una voglia irrefrenabile di piantare tutto e fuggire subito, immediatamente, senza salutare nessuno, di tornare là donde era venuto, lontano lontano, in qualche paese sperduto. Presentiva che, se fosse rimasto ancora pochi giorni soltanto là dov’era, quel mondo in cui si trovava l’avrebbe inghiottito″ (Dostoevskij, 1986, p.386).

In questa intenzione disperata di uno dei suoi personaggi c’è tutto Dostoevskij, c’è il senso di stranietudine, l’impeto perenne di fuggire da un mondo poco conciliante.

E, tuttavia, Dostoevskij resta un grande scrittore, non di certo un filosofo o un pensatore.

Sarebbe un errore trarre dai suoi romanzi delle costanti ideologiche o un qualsivoglia sistema di idee: come osserva Fausto Malcovati (1992), Dostoevskij guarda alle incoerenze, alle imperfezioni della psiche, all eribellio ni dell’uomo che anela all’armonia, che insegue la sua realizzazione dibattendosi tra il bene e il male, “attraverso prove dolorose e angosciose lacerazioni”.

Lo stesso Dostoevskij ne L’idiota (1986, p.494) ci rammenta questa sua concezione della vita: “L’essenziale consiste nella vita, unicamente nelle eterne e reiterate ricerche durante la vita, e non nelle nuove scoperte (…) In ogni pensiero geniale e nuovo, in ogni pensiero serio germogliato in una mente umana, rimane sempre qualcosa che non si lascia trasmettere agli altri, anche a scriverne volumi su volumi”.

Attraverso Dostoevskij ho iniziato ad amare la psicologia. Il naufragio del Sé, qui suddiviso in tre parti per agevolezza espositiva, si apre con un confronto tra letteratura e psicoanalisi nel tentativo di coglierne affinità e divergenze; purtuttavia vuole essere quasi una memoria nonché gettare un ponte tra l’adolescenza e l’adultità. Il titolo della prima parte del lavoro è mutuato dall’ultimo verso de L’infinito di Leopardi:   «Il naufragar m’è dolce» 

La seconda parte, il cui titolo è la parodia di un proverbio, sottolinea come «Non tutti i naufragi vengono per nuocere» e il riferimento, qui, è a quando lo smarrimento del sentimento di sé – così massicciamente presente nei romanzi di Dostoevskij – dispiega nuove e auspicabili prospettive.

Infine nella terza parte: Il paesaggio del naufragio  si cerca di analizzare la predilezione dostoevskijiana per le atmosfere a tinte tenui e i paesaggi costantemente in penombra.

Si sa, un naufragio si prepara sempre sotto un cielo scuro!

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*vedi Integrazione : I classici della letteratura sono lezioni di Psicologia Dinamica   I grandi scrittori hanno intuito le elaborazioni di Freud