Il naufragio del Sé

Tracce di Psicologia Dinamica nei romanzi di Fedor Dostoevskij*

Seconda parte

«Non tutti i naufragi vengono per nuocere»

«Non tutti i naufragi vengono per nuocere» dunque! Già, talvolta il naufragio si configura come indispensabile per disvelare dentro di sé profumi e suoni mai percepiti prima. In questo Dostoevskij è senza dubbio esistenzialista specialmente quando afferma che la rivelazione del senso ultimo della realtà si dispiega in attimi misteriosi e pericolosi, in circostanze psichiche eccezionali, in cui la coscienza si allontana dal mondo spazio-temporale e riceve quasi in dono delle visioni.

L’«idiota», ovvero il principe Myskin, intravvede «la bellezza e la preghiera» nonché «un’alta sintesi della vita», proprio quando sta per essere colto dagli accessi furiosi della epilessia, un attimo prima di perdere la coscienza e di stramazzare al suolo.

Malattia e conoscenza costituiscono un binomio che non ritroviamo esclusivamente nei romanzi di Dostoevskij. Si tratta di un binomio caro al romanticismo e, in tempi più recenti, rivissuto in forma grandiosa nell’opera di Thomas Mann. Ne La montagna incantata i borghesi di Lubecca misconoscono la vita dello spirito perché, grazie alla loro filosofia sana e normale, si sono ambientati perfettamente alla vita sociale; vi sarebbe, insomma, una sorta di sapere privilegiato che gli uomini completamente armonizzati con l’ambiente, non conoscono. Il precoce e ripetuto contatto con la morte compenetra la nostra psiche di un elemento sensibile, suscettibile di fronte alle crudezze della spensierata vita mondana, diciamo addirittura, di fronte al suo cinismo. (Mann, tr. it. 1930, p.221). Thomas Mann osserva, dunque, come l’unico modo sano e nobile di concepire la morte consista nel considerarla quale parte integrante della vita.

Secondo Stefano Ferrari (1994, p.203) il desiderio di morire, così tanto decantato dai poeti, diventa un modo per controllare il trauma della morte che, divenendo l’oggetto del desiderio, viene addirittura erotizzata. La sublimazione della morte traspare altresì da una dolcissima poesia che Pier Paolo Pasolini scrisse negli anni della sua giovinezza. La poesia è inclusa ne La meglio gioventù, raccolta di poesie giovanili da cui traspare tutto il profumo della campagna friulana dove Pasolini si recava in vacanza con la famiglia.

“In una città /Trieste o Udine/ per un viale di tigli/ quando in primavera/ le foglie mutano colore/ io cadrò morto/ sotto il sole che arde/ biondo e alto/ e chiuderò le ciglia/ lasciando il cielo/ al suo splendore” (Pasolini, 1975, p.65).

In Dostoevskij l’evocazione della morte è costante: l’«idiota» ovvero Myskin, in un salotto di Pietroburgo, rievoca le vicissitudini di un condannato a morte, poco prima della esecuzione. La prossimità della morte provoca una dilatazione temporale cosicché il condannato al cospetto degli ultimi minuti, ha l’impressione di dover vivere uno spazio di tempo infinito, «un immenso tesoro» (Cantoni, 1948, p.38).

In quelle circostanze più che ami il tempo va vissuto intensamente ed è così che il condannato a morte progetta di destinare due minuti all’ultimo addio ai suoi compagni, di assegnarne altri due alle proprie meditazioni intime e di impiegare l’ultimo minuto per ben guardarsi intorno l’ultima volta. In lui c’era, in quei momenti, questo continuo pensiero.

Se non dovessi morire! Se la vita potesse continuare, che eternità mi si aprirebbe innanzi! E tutto ciò sarebbe allora mio! Trasformerei ogni momento in un secolo, non perdere nulla, ogni istante sarebbe calcolato, non spenderei un attimo inutilmente! (Dostoevskij, tr. it.1986, p.75).

Il tempo, quando stiamo per esserne privati, ci rivela la sua sostanza preziosa nonché «il tessuto incomparabile di cui è composto»(Cantoni, 1948, p.38).

*vedi approfondimento: I classici della letteratura sono lezioni di Psicologia Dinamica   I grandi scrittori hanno intuito le elaborazioni di Freud